Sono trascorsi già diversi anni dalla emanazione del Codice del Terzo Settore (D.Lgs 117 del 2017) eppure sono in tanti a denunciarne il carattere stentoreo, incompleto e barcollante. Alcuni ne evidenziano il fallimento completo, altri, addirittura, la mancata partenza. Come una partita di calcio tanto attesa e sponsorizzata, mai giocata per avverse condizioni climatiche. Una promessa mancata in partenza.
Dico subito che giudizi così perentori non sono giustificati: la Riforma è incompleta, è vero. Alcuni benefici fiscali certamente non secondari (es. il regime fiscale commerciale di APS e ODV) non sono ancora stati perfezionati. Ma il più è fatto: il RUNTS è attivo, la trasmigrazione degli enti iscritti nei vecchi registri della Promozione Sociale, pressoché completata e il quadro complessivo dei benefici tutto sommato chiaro a chiunque sia interessato ad approfondirlo seriamente.
Cosa manca allora? A mio avviso soprattutto una chiara informazione sui "pro e cons" della Riforma che non è diretta solo a "ristrutturare" l'organizzazione e il funzionamento delle tante associazioni, fondazioni ed enti non profit già esistenti prima del decreto, ma soprattutto ad aprire scenari di creazione e sviluppo per nuove startup del privato sociale.
A cosa si deve questo gap informativo che sta precludendo la generazione di nuovo valore aggiunto sociale? Secondo me al fatto di aver focalizzato l'attenzione più sugli adempimenti amministrativi e burocratici - giudicati eccessivamente pesanti per le piccole realtà del non profit - rispetto alle prospettive che invece sono straordinarie e ricche di possibilità.
In tema di compliance amministrativa dico subito che il Terzo Settore resta in ogni caso un territorio decisamente meno complesso dell'impresa societaria e assolutamente più agevolato in quanto a tassazione. Gli enti di minori dimensioni sono pressoché sgravati da qualsiasi incombenza specifica, fatta eccezione per il deposito del rendiconto di cassa che è operazione di facile esecuzione anche per i non addetti ai lavoro. Gli enti di medie e grandi dimensioni soggiacciono ad adempimenti più complessi (es. bilancio per competenza nella forma del conto economico, stato patrimoniale e relazione di missione, nomina dell'organo di controllo ed eventualmente di quello di revisione) ma questo rientra nella più banale normalità perchè anche le PMI gestiscono più complessità delle microimprese in regime forfettario e le grandi imprese sono soggette a maggiori e più rigorosi standard di rendicontazione rispetto a quelle con piccolo fatturato. L'idea di fondo è che in qualsiasi comparto, la compliance è commisurata al volume di ricavi generato. Questo ragionevolmente vale anche per il Terzo Settore.
Ciò che è passata in sordina, invece, è la panoramica veramente ampia di iniziative ed attività che si prospettano agli operatori del sociale: basta dare un'occhiata all'art. 5 del Decreto 117 del 2017 per comprendere che essa non annovera solo le tradizionali attività sportive, religiose, culturali, ecc. già ricomprese in maniera abbozzata e frammentaria nell'ormai vetusto Decreto Zamagni (D.Lgs 460 del 1997) ma si estende al campo sanitario, pedagogico, formativo, turistico, artistico, di tutela del paesaggio, ecc. Intendo sottolineare che una rilevante quota del comparto servizi può essere svolta in regime agevolato tramite l'adesione al Terzo settore. Con l'ulteriore beneficio di divenire il principale referente della Pubblica Amministrazione nella gestione dei servizi sociali e di poter beneficiare di bandi, concorsi, finanziamenti riservati strettamente agli ETS. Il tutto a condizione di rispettare con serietà le regole genetiche del settore: assenza di scopo di lucro, democraticità delle strutture, rendicontazione seria della generazione di utilità sociale e dell'amministrazione delle risorse.
Ed è proprio qui che si manifesta, secondo il mio modesto parere, il blackout comunicativo: nel nostro Paese brucia ancora l'esperienza negativa dei sodalizi (pochi in proporzione all'universo complessivo) che in questi decenni hanno dovuto affrontare i contraddittori con le agenzie fiscali o previdenziali. Certo a causa anche di una legislazione incoerente e provvisoria. Andrebbe detto, tuttavia, che la maggior parte di queste vicende tribunalizie hanno visto per attori, soggetti spesso sprovvisti della minima documentazione contabile, con qualche difficoltà a distinguere i soci dai clienti e l'attività commerciale da quella istituzionale. Gestori che ignoravano persino di avere lo statuto che essi stessi avevano sottoscritto, più propensi a partecipare all'assemblea di condominio che a quella degli enti posti sotto la loro direzione.
Accade, così, che molti consulenti, ragionevolmente, dissuadano i propri clienti dall'intraprendere la strada del Terzo Settore. Il timore è quello che i propri assistiti siano strutturalmente inadeguati per seguire le incombenze da esso previste e dunque restino esposti negativamente ai relativi controlli. Tuttavia sarebbe altrettanto giusto e trasparente avvertire che al di fuori dei registri di nuovo conio (il Runts da una parte, il RASD dall'altro) non c'è futuro per il privato sociale: si resta esposti alla tassazione ordinaria di impresa che di suo non è certamente più semplice da gestire nè aliena da dubbi ed incertezze.
Alcuni esperti di fama nazionale hanno svolto un egregio lavoro formativo ed informativo per sensibilizzare persone ed istituzioni sulla Riforma del TS, ma il nodo resta l'assistenza locale: il comparto non fa breccia nel cuore dei consulenti perchè le dimensioni sono mediamente microscopiche, le risorse finanziarie marginali e il lavoro è specialistico.
Credo che il Terzo Settore si svilupperà adeguatamente quando inizieranno a manifestarsi sullo scenario iniziative di medie e grandi dimensioni: in prospettiva soprattutto cliniche, ospedali, centri studi, università private, strutture convenzionate con gli enti locali, ecc
L'importante è non farsi trovare sprovveduti dinanzi al cambiamento poichè si rischia di assistere a fenomeni simili a quello che sta andando in onda in questi giorni: abbiamo a disposizione le ingenti risorse del PNRR ma la Pubblica Amministrazione fatica a trovare progettisti adeguati al ruolo e teme l'esito delle verifiche ex post sulle somme spese e sulle iniziative finanziate. E così in un paese che fatica a pagare pochi euro l'ora la propria mandopera giovanile (anche intellettuale) lentamente avanza l'idea che sia meglio rinunciare ai finanziamenti piuttosto che trarre beneficio dall'appartenenza al contesto comunitario
Avv. Elisabetta Maria Piro
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