Ha senso di parlare ancora di SW, ora che la pandemia, per fortuna, appare definitivamente sotto controllo?
R. Direi di si. Che se ne può parlare, oggi più che mai, con tranquillità e serenità, come di uno strumento utile in determinate circostanze e condizioni per migliorare la produttività dei dipendenti. Mi sono occupata di Smart Working ben prima che la tragica pandemia da Covid 19 ne ampliasse stratosfericamente la diffusione, per le ben note ragioni di contenimento del contagio. Il Lavoro Agile, infatti, era già in uso da anni presso molte aziende ICT, nel campo dei servizi e della creatività. In tutti i comparti produttivi in cui l'impresa, generalmente, tende a focalizzare più sul risultato conseguito dal dipendente che sulla sua presenza fisica in sede. Le stesse tecnologie di lavoro a distanza non sono una novità: il "remote control" esiste da almeno una ventina di anni, le riunioni a distanza altrettanto. La pandemia non ha creato lo SW, ne ha semplicemente evidenziato l'utilità in una fase in cui stare troppo a contatto nuoceva gravemente alla salute.
Eppure sui media e sui social si parla spesso dello SW come di un problema.
R. L'argomento è divisivo perché coinvolge una sfera molto delicata dei processi antropologici che sottendono alle relazioni aziendali: cultura del controllo o cultura del merito? Comando diretto o promozione spontanea della produttività? Su un piano strettamente giuridico, però, parlare di "problema" è alquanto inesatto, in quanto nessuna delle norme attualmente vigenti impone lo SW quale obbligo generalizzato e sistematico a carico del datore di lavoro. Anche nel caso dei dipendenti genitori di minori di 14 anni, destinatari di un regime di favore in fatto di SW, la Legge ha sempre stabilito quale requisito di concreta applicabilità, che le mansioni svolte fossero "smartizzabili", ovvero suscettibili di esplicazione a distanza senza danno per l'impresa. A parte questa eccezione, lo SW è un accordo di natura pattizia e quindi lo si fa con la volontà di entrambe le parti, se ad entrambe conviene.
Dunque ci sono impieghi "smartizzabili "e impieghi che non lo sono?
R. Ovviamente. Ad esempio fatico ad immaginare che la professione della commessa di negozio possa essere oggetto di lavoro a distanza in un esercizio su pubblica via. Ma la stessa funzione di servizio e vendita alla clientela lo diventa non appena la medesima attività si colloca sul web. E' una questione di mansioni e di tecnologie disponibili, ma soprattutto deve esserci un vantaggio reciproco per le parti. Tuttavia, la circostanza che alcuni mestieri siano esercitabili in SW e altri no è fonte di conflitti nelle aziende. Chi, per ragioni tecnico-produttive è costretto alla presenza esterna sovente rancore nei confronti di chi può lavorare da casa e questo effettivamente è un problema per le direzioni aziendali
E lei come risponde a questa criticità?
R. Da legale osservo semplicemente che lo SW, liberamente sottoscritto dal datore di lavoro e dal sottoposto, è una clausola di miglior favore per quest'ultimo e dunque pienamente legittima per l'ordinamento giuridico. Il fatto che simili benefit siano negoziabili a livello individuale è una espressione della libertà dell'impresa di organizzare i fattori produttivi come meglio crede, dopo aver rispettato gli standard minimi imposti dalle norme e dai CCNL. Se così non fosse sarebbero nulli anche i superminimi, le quote di retribuzione ad personam, la concessione di auto, pc, cellulari aziendali e persino le ore di straordinario (pagate) che vengono attribuite a questo o quell'impiegato in ragione delle esigenze aziendali
Per quali motivi un'azienda dovrebbe concedere lo SW a tutti o ad alcuni dei suoi dipendenti?
R. Comunemente, la ratio dell'accordo è uno scambio tra il benefit (lo SW) e la maggior produttività dell'impiegato. Immaginiamo uno dei tanti impieghi che può essere svolto con un portatile, una connessione internet, software in cloud, ecc.: grafica, design, articoli sui media, cura dei social ma anche contabilità, bilancio, elaborazioni amministrative, grafici, proiezioni economiche e finanziarie, ecc. Bene, se l'impiegato dimostra che può realizzarle con più cura e minor tempo restando tra le quattro mura di casa, perchè abita lontano dall'ufficio, perde tempo ed energie sui mezzi pubblici o a trovare parcheggio, nell'ambiente domestico è più concentrato ed efficiente, l'affare è fatto. In un mondo di razionalità economica è ragionevole supporre che all'impresa interessi la qualità e quantità del lavoro svolto (che paga) e non la formalità in se della presenza in sede.
All'impresa l'accordo potrebbe convenire anche perchè l'impiegato non timbra il cartellino e quindi può il datore può risparmiare sulle eventuali hh di straordinario?
R. Questo non è legale, perchè l'orario settimanale di lavoro del dipendente in SW resta quello stabilito dai CCNL o dagli accordi aziendali di maggior favore. Pertanto, le hh di straordinario effettivamente reso vanno liquidate comunque. Lo SW non va confuso nemmeno con la clausola di reperibilità e prevede un diritto al distacco digitale: l'equivalente della timbratura con cui l'impiegato segna la fine del suo turno e se ne torna a casa nella relazione lavorativa ordinaria.
Se così è, come fa il datore di lavoro a verificare che il dipendente sta effettivamente prestando opera e non andando a zonzo durante le hh di servizio?
R. Esistono in commercio sistemi digitali che consentono la rilevazione della presenza anche a distanza. Ma non è questo il punto. Ciò che mi preme sottolineare è che se non mi fido del mio sottoposto oppure non sono in grado di valutare obiettivamente il suo operato svolto con modalità remote, semplicemente non gli accordo lo SW perchè non è obbligatorio. E lo stesso può fare lui se per qualsivoglia motivo dovesse preferire il lavoro in presenza piuttosto che quello a distanza.
Ma una volta concesso lo SW, diventa un diritto per tutta la carriera del dipendente?
R. No se si scrivono bene gli accordi. Intanto, come in tutte le vicende giuslavoristiche, meglio disciplinare il patto per iscritto, motivandone adeguatamente le ragioni tecnico-produttive e stabilendo a chiare lettere che il benefit ha una durata massima (es. annuale) eventualmente rinnovabile con le stesse modalità. Deve essere inoltre previsto, per entrambe le parti, il diritto al recesso in modo da ripristinare l'esecuzione in presenza, qualora ciò risulti necessario. D'altro canto non dimentichiamo che lo SW è una faccenda di mansioni e queste ultime sono pur sempre modificabili nel tempo. Qualora l'impiegato venisse affidato a compiti non smartizzabili la ratio dell'accordo verrebbe immediatamente meno.
In conclusione: se lo SW è una misura così efficace per quale ragione le imprese dovrebbero continuare ad avere una forza lavoro e non sostituirla ad esempio con dei professionisti a partita IVA?
R. La presenza fisica nella sede del datore di lavoro non è il principale connotato della prestazione lavorativa resa in regime di lavoro subordinato; più importante è invece il tempo di impiego settimanale che l'impresa richiede al lavoratore, la sua soggezione a direttive, regolamenti e ordini, il dovere di fedeltà, non concorrenza e l'attrazione nella sfera di proprietà aziendale delle opere dell'ingegno. Diversamente, l'esercito di dirigenti, quadri, forze di vendita, operatori in distacco che lavorano spesso in ambienti differenti dalla sede aziendale ma anche autisti, camionisti, addetti alle consegne, dovrebbe temere quotidianamente la trasformazione del proprio rapporto in un contratto di lavoro autonomo. L'ordinamento semplicemente non lo consente